120 esperti di tutta Europa e noi c’eravamo
120 esperti del settore performativo sono stati selezionati per una doppia sessione di lavoro di brainstorm tra operatori del settore “to hear about how your needs could be reflected in a future European funding scheme“. Noi c’eravamo e ci siamo seduti al tavolo che trattava del valore economico del settore. L’obiettivo è stato quello di raccogliere tutte le indicazioni per orientare il prossimo schema di finanziamento europeo per far ripartire il settore e la circolazione delle produzioni. A giugno infatti usciranno i primi bandi e speriamo che le linee siano coerenti con le indicazioni che abbiamo dato. Qui di seguito il testo del mio intervento.
Il mio contributo parte da una constatazione legata alla pandemia, ma che tocca una questione che viene prima della problematica del touring. Il mondo dell’arte e dello spettacolo è così stratificato, così complesso, così imprevedibile e così sommerso, che molti governi nazionali hanno avuto difficoltà a offrire una risposta adeguata al settore più colpito dalla pandemia. Eppure siamo un settore produttivo. E le economie che generiamo (direttamente e indirettamente) sono altissime. Alla domanda “perché” io credo che la risposta sia un vuoto di conoscenza. Arte e spettacolo non sono solo un servizio, ma un elemento integrante e fondante della società. Per comprenderlo non bastano i numeri. Per questo i sondaggi sono importanti se riescono a restituire una fotografia non solo numerica.
Il tema del tavolo è quello del valore economico. Io sviluppo il settore outdoor & circus per una società cooperativa di lavoratori dello spettacolo. Le parole chiave, i valori, che trasferiamo agli artisti sono: legalità, sicurezza, professionismo, solidarietà, mutualismo, condivisione dei saperi.
Noi parliamo di valore economico, ma nel nostro campo dovremmo parlare di valori economici. Economia della conoscenza, dell’informazione, della relazione, del dono, ecologica e così via. Il settore delle performing arts è profondamento intrecciato con il destino delle comunità che lo ospitano: sia in quella di origine che in quelle di transito.
Io credo che una nuova progettualità europea dovrebbe osare spingersi molto oltre il concetto di arte come prodotto o servizio. Ripartire appena possibile o replicare col digitale le abitudini precedenti è sostanzialmente abbastanza facile. Lo stiamo già facendo. La pandemia ha però mostrato come arte elemento strumentale del benessere delle comunità.
Allora io credo che nel programma Perform Europe dovrebbero trovare posto anche progetti in grado di aprire (o spingere ad aprire) nuove porte. Comunità non è solo valore sociale. Comunità è anche valore economico e emersione di nuovo circuiti e nuove opportunità.
Porto due elementi di riferimento con cui chiudo il mio intervento.
Il primo è l’esempio innovativo delle cooperative di comunità (link). Progetti che siano in grado di mettere in relazione le necessità delle comunità, gli spazi, i servizi, la solidarietà, la proposta culturale e artistica, con un approccio e un’ottica di cooperazione imprenditoriale. Cooperazione capace di attivare economie circolari, sul territorio, sia di generare nuove risorse per una altra circuitazione delle compagnie. In questa direzione forse troverebbero maggiori opportunità proprio quelle compagnie più fragili nel touring internazionale. Compagnie meno in grado di competere sul main event, ma fortissime nell’economia di relazione. Questo non sarebbe più solo valore, ma plusvalore.
Se l’Europa, coi suoi network, investe in questa direzione, allora può realizzare la sua natura di creatrice di reti, può rafforzare uno spirito paneuropeista e, per quel che ci riguarda, aprire nuove strade alla circuitazione transfrontaliera.
Il secondo elemento è più breve. Mi riferisco alla convenzione di Faro e alla relativa riflessione sull’importanza del patrimonio culturale in relazione ai diritti umani e alla democrazia. Per la convenzione i luoghi e gli oggetti non sono ciò che è importante del patrimonio culturale. Essi sono importanti per i significati e gli usi che le persone attribuiscono loro e per i valori che rappresentano.
Io credo che la convenzione di Faro dovrebbe essere un punto di riferimento consistente e imprescindibile per la futura progettualità europea.