Perché partecipazione significa anche creare opportunità ed essere solidali
Quello della partecipazione è un tema che non consideriamo mai troppo con la dovuta attenzione. Eppure genera importanti effetti nelle nostre esperienze di comunità. Ma cosa significa partecipare e perché vale la pena parlarne?
Alle spalle ho cinque anni di lavoro per un’associazione nazionale, la FNAS, ma prima ancora ero presidente di un’altra associazione locale, con cui gestivo compagnia di teatro, spazi, eventi e progetti, e sono stato, sono e sarò socio di altre associazioni. Ho fatto quello che ognuno di noi fa a suo modo: impegnarsi nello sviluppo della società, promuovendo idee, politiche, progetti. Tutti siamo dunque portatori d’esperienza di partecipazione in associazione. Allo stesso modo sappiamo cosa significa l’assenza di partecipazione che, specie se in risacca rispetto all’entusiasmo dell’inizio, comporta quasi sempre un senso di fallimento di un progetto. Ma associazionismo significa d’altronde presenza volontaria, condivisione di competenze, dono di tempo e di passione non necessariamente retribuiti. Si alimenta di progetti e di visioni, ma anche di figure carismatiche. Per questo le associazioni sono lumi che talvolta si spengono.
La dispersione delle energie succede ed è fatto endemico. E lo è anche quando il progetto comune riguarda un impresa lavorativa. La cooperazione da questo punto di vista non è così differente dall’associazionismo, salvo palesare in maniera più evidente la propria collocazione nel mondo delle professioni e, con fierezza, anche in quello delle economie. Ma una cooperativa è un’impresa e appartiene ai suoi soci. In questo senso partecipare assume un significato differente, perché si materializza anche dando forma agli interessi individuali, dentro l’interesse collettivo. Partecipare significa dunque incrementare economie, moltiplicare opportunità lavorative, generare valore. Fare rete, insomma. Eppure anche nella cooperazione la partecipazione è talvolta argomento doloroso, saltuario e accessorio.
Cosa c’entra fatturazione?
Molti lavoratori dello spettacolo scelgono la cooperativa con una necessità sacrosanta: poter fatture a terzi la propria opera e potersi pagare uno stipendio in regola, vedendosi riconosciuta qualche tutela come lavoratore. Oggi questa scelta di adesione è talvolta obbligata, perché il sistema normativo impedisce a tanti artisti, per rapporti con datori di lavoro non di settore, di mettersi in agibilità da soli. Unirsi in cooperativa per questo unico scopo attiene all’interesse, legittimo, individuale. Si ferma lì. Non tocca il collettivo.
Fatturare è davvero la cosa più banale, meno interessante e, per tanti versi, meno vicina allo spirito della cooperazione di tutte le cose che la cooperativa può fare. Io non mi sono mai sentito a mio agio in questa “appartenenza” elementare. Essere incaricato allo sviluppo del mio settore all’interno di una cooperativa mi obbliga oggi a cercare una risposta chiave al quesito. Che cosa è per me la cooperazione? Qual è l’idea di cooperativa a cui voglio contribuire. Così cooperazione e associazione si ritrovano improvvisamente molto più vicine tra di loro. Per entrambe contano le connessioni e il valore che queste possono generare: più come dato economico da un lato, che per quello istituzionale dall’atro. La dimostrazione del teorema è dunque semplice. Cooperazione è partecipazione.
Su questo solco ritrovo la visione dentro cui poter sviluppare, insieme ai soci, il settore OCA. Persone e lavoratori che non dovranno mai considerarsi come meri “moltiplicatori di fatturato”, ma che possano sentirsi (e farmi sentire) compagni di viaggio. Per questo risultato va tenuta alta l’asticella della partecipazione e trasformarla in valore collettivo: di scambio, di connessioni, di opportunità di lavoro, di sviluppo professionale e internazionale, di legalità e sicurezza sempre crescente, di progettualità connesse, di condivisione di conoscenze e saperi, di investimento in azioni di politiche culturali territoriali. Tutto quel mondo che, come all’inizio del discorso, ognuno di noi alimenta con la propria attività di cittadino politico in rapporto construens con la sua polis.
Dare forma concreta a quei principi originari di Rochdale, che tanto valore hanno oggi, integrandoli in una visione ritagliata espressamente per un settore così fragile di tutele e riconoscimenti come quello dello spettacolo, significherà realizzare per me la nostra libertà di essere: artisti, professionisti, cittadini.