Un territorio di sperimentazione nuovo o antico per le outdoor arts?
Spesso mi capita di leggere velocemente dei riferimenti che mi si fissano in testa senza un perché e ci restano fino a che non mi risolvo ad approfondire. Il Forum Nuovi Circhi ha messo nel suo statuto i riferimenti alla Convenzione di Faro. La FNAS porta avanti con forza la valorizzazione del rapporto tra arti e spazio pubblico, in connessione permanente e mai accessoria con le comunità di riferimento. Poi le Regioni hanno cominciato a legiferare sulle cooperative di comunità. Così mi sono chiesto: ma questa cosa mi riguarda?
Dal sito di Legacoop leggo: la cooperativa di comunità è un modello di innovazione sociale dove i cittadini sono produttori e fruitori di beni e servizi. È un modello che crea sinergia e coesione in una comunità, mettendo a sistema le attività di singoli cittadini, imprese, associazioni e istituzioni rispondendo così ad esigenze plurime di mutualità.
Tutti noi che per anni abbiamo portato avanti, oltre alla creazione e alla circuitazione dei nostri spettacoli, una progettualità intimamente connessa col luogo in cui operiamo (sia esso un borgo antico, una frazione contadina, un estremo di periferia urbana o un quartiere un po’ chic), difficilmente possiamo dire che non ci riguardai. La relazione col territorio l’abbiamo sempre curata, come la cosa più naturale del mondo. Ma cosa c’è di rivoluzionario in questo nuovo accattivante titolo?
La cooperativa di comunità, per essere considerata tale, deve avere come esplicito obiettivo, quello di produrre vantaggi a favore di una comunità alla quale i soci promotori appartengono o che eleggono come propria. Questo obiettivo deve essere perseguito attraverso la produzione di beni e servizi che incidano in modo stabile e duraturo sulla qualità della vita sociale ed economica della comunità.
C’è che si parla, finalmente in termini espliciti, di valore economico per una comunità per la quale arte e spettacolo non sono mai stati solo un servizio. Questa cosa la sappiamo da sempre, ma è la prima volta che si guarda istituzionalmente alla comunità e ai suoi attori come un insieme unico in grado di pensare, progettare e creare un benessere diffuso che, adesso, diventa anche economico.
Gli studi più interessanti che ho trovato allora (per capire se mi ero fatto solo un gran viaggio o l’intuizione aveva un senso) sono quello di Michele Bianchi e quello di Pier Angelo Mori, ma soprattutto buona parte dell’attività bibliografica di Jacopo Sforzi ricercatore di Euricse. Così come è interessantissima la guida alle cooperative di comunità di Legacoop.
Confesso che non sono ancora in grado di maneggiare con destrezza la materia, come ad esempio meglio sanno fare le colleghe in Fondazione Centro Studi DOC. Se io provo però a rileggere tutto questo con gli occhi dell’artista o dell’organizzatore di eventi e se metto insieme tutti questi nuovi spunti con quelli che vengono dalla convenzione di Faro, allora capisco anche meglio le nuove sperimentazioni che l’Europa sta promuovendo con bandi tipo quello di Perform Europe.
Se non sarà sicuramente una soluzione calzante per tutti, ritengo però che un approfondimento al tema valga la pena farlo. Forse molti di noi hanno già tutti i requisiti per generare nuove risorse di questo tipo. La cosa importante è che arti e spettacolo stanno lì. Ci sono già. Sono finalmente comprese nel loro valore economico. Ed io penso che di sicuro questo può essere un modo per restituire dignità a tanta attività che spesso non si vede nel mainstream dei grandi circuiti di spettacolo, ma che non per questo ha meno valore artistico e culturale. E tutto questo parlando comunque di circo e di spettacolo nello spazio pubblico. O forse proprio a partire da.